Desiderio sardo

Terra sarda,
sbrigliata, veemente.
Ho sfiorato le tue
ginocchia ruvide,
stondate, di forte granito.
Ci sono dei giganti che dormono
abbracciati
sotto il manto di boschi
dei monti nell’interno.
Verdi, dimenticati, monti
colmi di silenzio
antico e di profumo.
Gomiti, fianchi,
e grosse teste affiorano in angoli
dolci. Li vedo adagiati in un sonno chiuso e sordo.

Non so quali maschere
prendi,
isola,
lontano dai Carnevali,
per punire i tuoi figli.
Per farli stramazzare
l’uno sull’altro,
gonfi di birra,
senza lavoro,
mentre tu,
appagata, sorridi, malvagia, ingrata.


Ti ho visto
il giorno dopo,
donna minuta,
sciogliere i capelli
lunghi e neri
con gesto fulmineo,
in un ballo
a piedi scalzi.
Corpo asciutto,
pronto per le voglie di
chi sbarca;
sei fatta di fascino e rimmel sugli
occhi di mare verde, di mare blu.

Amico sardo,
mi insegni
ad amare
quel bivio nascosto: la strada che porta alle vie
nascoste, interne.

Al mio fianco
nel buio
ti sento cantare
e sono
sazia
di contentezza.

Roma, 29 dicembre 2012

L’ego

Ti voglio bene
solo
se mi accarezzi l’ego.
E voglio pelo e contropelo.
Stirami, ti prego, qualche complimento addosso,
con un ferro caldo-rovente
e lo ‘stira e ammira’.
(Davanti a terzi, poi…! Ti do l’Oscar).
Fammi beare di me stessa, dimmelo, dimmelo che sono
[bella, brava e buona.
Voglio i complimenti, i riconoscimenti, i premi e le premure per le prime donne.
Non per forza il successo, ma un biscottino per cani,
che scivola dal tuo palmo,
una carezza plateale, un: però!

Roma, 20 ottobre 2012

La testa e la paura
 
Ai miei genitori
 
Guardo alle vostre dipartite,
come a un mai sarà,
per lenire
il gran terrore
che provo
solo all’idea.
 
Me ne sono andata io,
(ve ne siete accorti?),
pur rimanendovi accanto.
 
La mia testa,
decapitata 
da un mondo
che resta lì, se ne va,
zitta,
per le sue mulattiere.
E caparbia, sasso dopo sasso,
sale strade segrete. Lì dove mi sarò inerpicata,
 
uno dopo l’altro,
giungeranno
i vostri addii,
a squarciarmi.
 
Da lì, vi sarò già più vicina.
 
Roma, 2 novembre 2012

Il pensiero dell’ombrello

Mi sono fatta aprire
un bell’ombrello
dentro il cervello.

Non ci piove mai
per sbaglio,
nemmeno uno sbaglio.

Nella mia testa
non c’è errore:
nemmeno
una minima goccia di errore.

Infatti, il Po è il fiume che attraversa Napoli.


Roma, 1 luglio 2012

 

Isola

Seppellitemi sola,
sotto la preghiera
salata del vento
di maestrale,
nel suolo sardo
e duro.
Tu, isola, ti nutri di donne, di uomini,
sei carnivora, lupo
affamato, isola strega.
Stasera scrivo di te,
di quando,
a maggio, scenderò
stralunata
dalla nave
con i militari,
qualche puttana e i camionisti
già stanchi prima dell’alba.
Scrivo dell’abbraccio
tiepido
dei tuoi golfi,
delle tue carezze,
di cui non posso fare a meno,
isola madre.
Isola amante, isola
amica.

Roma, 8 aprile 2013

Figlia/o
mia


Il tuo urlo è uscito dalla mia bocca e ho strillato forte:
[come faccio a crescere un figlio, io che sono pazza?]
Ero invasata, ripetei tre volte: pazza, pazza, pazza.

La psicologa ch era di turno mi tranquillizzò: tieni, bevi un po’ d’acqua.
Autorizzarono dopo poco l’aborto.
Mi portarono con gentilezza nella stanza accanto.
C’era molta luce.
Questo accadde quando ero giovane.
Forse ventidue anni.
Ricordo tutto, non la data.

Ali sulla tua schiena
colorate
appiccicate a forza
in fretta e furia,
non ci fu tempo da perdere.
Anche se eri o non eri,
la palla passò a te.

Firenze, stazione di Campo di Marte
Parigi, Pont d’Iena

Figlia/o
mia-

Sei un angelo di quattordici anni con ali piene di strass.
Qualche sticker colorato – occhi verdi e gambe lunghe.
Un angelo d’avanguardia – potresti avermi salvato tu,
rigenerandomi a tua volta – chi può dirlo.

Torna.
Dimmelo in carne ed ossa.
Quando vuoi son qui,
se così sarà.
Roma, 22 febbraio 2009

 

Ventun’anni

Sono sdraiata sulla spiaggia con la testa che gira in modo vorticoso. Mi sento in aria pur con il suolo fermo e saldo contro la mia schiena. Un piano inclinato che bascula su di un perno. Affondo le mie dita nella sabbia fredda cercando un appiglio sicuro, ma non ne traggo alcun conforto, solo qualche tellina tagliente. Mi giro sul fianco, sentendomi male. Il rumore della musica mi giunge a ondate e la testa mi scoppia. Tristezza di vivere così leggermente i miei ventun’anni, come una bomba ad orologeria, che ogni tanto scoppia a sorpresa. E allora mi ubriaco: per una sera sembra facile annegare nell’alcol, tracannato come acqua. Poi si sta male ed i brutti pensieri risalgono a galla. Piango in silenzio, senza singhiozzi, seguendo ogni lacrima lungo il mio volto. Sono calde, salate, immensamente consolanti. Le onde cominciano a lambire le mie gambe e sogno di essere una cometa che al suo passaggio lascia una scia più grande di sé. E l’acqua mi piace, sembra invitarmi. Mi avvicino e inizio a giocare con il mare, quasi che solo esso mi possa spiegare come vanno le cose. Mi spoglio senza capire e mi tuffo. Da allora faccio parte di tutta la tristezza che solo le onde sono capaci di raccontare e ripetere ogni giorno. Le risposte sono lente a venire. Non so quanto tempo sia passato, non so neanche se nessuno si sia mai accorto di niente.

Roma, 1993

Roma

Roma città mia,
dai denti neri, sampietrini sconnessi.
La chiesta di sguincio di fronte casa,
sopra al Tevere ha una delle tante
cupole, tutte le tette della città.
I turisti ti mangiano,
piano piano,
e sputano le tue ossa ai nostri piedi.
Tanto,
dopotutto,
chissenefrega.

Roccaraso, 8 agosto 2010

Quaranta

Apriti bocca mia.
E divorami.
Mangia le mie idee, dilania le mie convinzioni,
tagliuzzami, incidimi, mordimi,
fammi sparire ancor più dentro di me;
distruggi i miei guai, come fossero confetti:
(crac).
Ho compiuto quarant’anni.

Roma, una sera di settembre 2012

Chissà

Chissà,
se dall’al di là
ci vedono.

Se le nostre nonne,
sferruzzando insieme scommettono
chi – tra loro – ci protegge di più.

C’è da chiedersi se c’è un bel giardino,
in Paradiso-
dove prendere il fresco nelle sere d’estate,
oppure

solo le fredde lamiere contro le schiene morte.

Chissà,
se nell’al di là
si mangia.

Castagne arrosto, baccalà, fritto di carciofi,
gazpacho, tartare
e qualche granita quando la calura incombe.

Chissà se loro
sanno quanto ci rimane da vivere,
se anche nell’al di là c’è la fila per trovare un parcheggio.

Oppure solo processioni di fantasmi spenti,
senza occhi.

Roma, 30 dicembre 2009